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Periodico della Parrocchia San
Filippo Neri
ARCHIVIO ANNO PASTORALE 2016-2017
VISIONI CONDIVISE di GP. M. –
01 luglio 2017 |
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Ho spesso
guardato con scettica curiosità alle visite istituzionali tra i Presidenti
della Repubblica italiana e i Papi: quasi un dare e avere di maniera, uno
scambio di cortesie a breve distanza temporale e chilometrica che avrebbe
potuto trovare modi diversi di semplificata espressione. La recente
visita di Papa Francesco al Presidente Sergio Mattarella mi ha invece
sollecitato una sincera autocritica facendomi pensare che anche le “forme”
hanno un senso e che la solennità crea occasione di confronto umano e
politico. Ci è sembrato
di assistere, infatti, a un evento voluto e non imposto, familiare e non
formale, pur nella grandiosità del protocollo (la sede, gli squilli, i
corazzieri,…). Francesco è
giunto nell’antica residenza papale estiva con la sua Ford Focus blu,
scortato da un piccolo corteo che sembrava indicargli la strada e ha potuto
vivere con Mattarella un clima disteso, collaborativo, lontano da quello di
altra occasione. Il tutto
senza rinunciare all’importanza dei reciproci ruoli. Francesco non
svaluta la funzione dell’indipendenza della Santa Sede rispetto al potere
politico e la interpreta come condizione per svolgere la sua missione
spirituale e sociale, potendo fruire della visione di laicità e
collaborazione che Mattarella gli conferisce a nome del popolo italiano. Sono lontani
antichi baciamano; è invece costantemente presente la voce della Costituzione
che trova puntuale citazione nel richiamo alle parole pronunciate dal Papa a
Genova per affermare che “attorno al lavoro si edifica l’intero patto
sociale”. E allo
spirito della Carta Costituzionale appartiene anche il riconoscimento che “la
reciproca autonomia non fa venir meno, ma esalta la comune responsabilità per
l’essere umano e per le esigenze spirituali e materiali della comunità”. |
MEMORIA FERREA di GP. M. –
02 Giugno 2017 |
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Il 9 maggio di
ogni anno è giorno di “memoria”, voluto dal Parlamento italiano per unire al sentimento del ricordo una
presa di coscienza e un proposito di vita: il ricordo è personale e fugace,
la memoria è un fatto collettivo che si incide nella mente. La scelta della
data del 9 maggio è implicitamente scritta nelle brevissime parole della
legge; tra le “vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice” viene
così inclusa la ricorrenza emblematica
dell’uccisione di due spiriti liberi: Aldo Moro –vittima delle Brigate Rosse-
e Peppino Impastato -distrutto dalla mafia-. “C’è una
classe, in Italia, piena di banchi vuoti… Non
sempre è stato così però. Un tempo
questa classe, come tutte le altre, era piena di voci, risate, timori e
speranze, diari colorati e aeroplani di carta. Un tempo ogni banco era casa,
zattera e fortino, superficie da disegno,
palcoscenico, trampolino: un formidabile pezzetto di mondo affidato a
un bambino o a una bambina . Vorrei
raccontarvi a chi appartenevano questi banchi, e come mai sono rimasti
vuoti.” E così, dopo
questo incipit del suo ultimo libro 1), Luigi Ciotti –il sacerdote
che alla lotta alla mafia sta dedicando la propria vita- illumina la storia
velata di nero e di giallo di Dodò, Annalisa,
Giuseppe, Nadia, Caterina, Simonetta, Benedetto e Salvatore: otto bambini
uccisi dalla mafia perché presenti in luoghi, tempi, circostanze,
manifestazioni di spontanea-confidente onestà che i
disegni della criminalità mafiosa hanno
deciso di non poter tollerare. E’ la
rappresentazione della verità che la mafia attraversa anche la vita dei
ragazzi e dei bambini, molti dei quali, anche se sopravvivono, cadono nella sua rete perché resi orfani,
privati dei supporti educativi ed economici, strumentalizzati ai fini di
traffici loschi, condannati ad essere vittime di intimidazioni che
sconvolgono una crescita serena. L’immagine
dei banchi vuoti assume il valore di un progetto educativo interrotto ma
anche della spinta all’impegno con nuovi protagonisti nella possibile
costruzione dei frammenti di un mondo migliore. Perché “accompagnare i
bambini ad aprire gli occhi sul mondo, metterli a conoscenza, con la dovuta
delicatezza, anche dei suoi aspetti più brutti e dolorosi, vuol dire non solo
prepararli alla vita, ma porre le basi di una società di persone consapevoli.
Le mafie sono anche il risultato di un grande vuoto di responsabilità, di un
vuoto d’amore per il bene comune.” 1)
Luigi Ciotti
“La classe dei banchi vuoti”- Ed. Gruppo Abele – Torino, 2016 |
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MAQUILLAGE POVERO Un modo
agrodolce per celebrare il primo maggio delle donne di GP. M. – 29 Aprile 2017 |
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Su la Metro
tu scopri, la mattina, ne le Signore
subbito er penziero de coje ar volo – e nu’ je pare vero - er tempo d’arangia’ ‘n aggiustatina. Ce vonno sei fermate pe’
truccasse: un ripasso a
le cije e poi ar
rossetto, er controllo der viso a lo specchietto pe’ riprova’ l’effetto de la classe. De rimpetto,
fai finta de nun vede ma pensi che ner grigio de la vita armeno a la
bellezza devi crede. D’ombretto,
intanto, l’occhio se colora, da pettine
funzionano le dita. De più non
può la Donna che lavora. |
EUROPA: I SUONI DELLA PACE
di GP. M. – 23 Aprile 2017 |
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Pace – Fred –
Friede - Irini - Paix - Paz – Peace – Pokoj – Rauha - Vrede Quelli appena
ricordati sono i termini (e i “luoghi”) con i quali la parola “pace” era stata adottata nel
progetto di “Costituzione per l’Europa”, lungamente studiato ma ormai
abbandonato nei cassetti delle mancate ratifiche da parte degli Stati
dell’Unione. Viviamo con
trepidazione i giorni in cui i suoni della pace ci giungono affievoliti,
quando non spenti, dai diffusi toni di sfida, di intimidazione, di
ostentazione di forza che non lasciano spazi a visioni serene. I messaggi
pasquali del Papa restano forti nei significati e nel linguaggio, ma non
riescono a sopire la sfiducia e il
senso di paura che ci invadono l’anima. L’invocazione
al Dio della pace è la sola cosa che alimenta la nostra speranza; ad essa va
comunque aggiunto quanto ognuno di noi può costruire a livello personale. “La pace - come ogni altra cosa - non si impone,
si produce: con pazienza, con disperata speranza, con la fatica della lotta
contro la sopraffazione, generalmente resa più dura dalla convinzione di
essere dalla parte del giusto. La possibilità di aver ragione non ci libera
però dall’impegno di accertarne i confini, di liberarla dal limite di essere
la “nostra” ragione.” (Toesca). Lo
smarrimento latente di questi giorni mi fa tornare al ricordo di un uomo ignoto
che, deponendo sulla tomba di Julius Oppenheimer i
fiori di Hiroshima – fiori raggrinziti, nati a stento sul suolo riarso
dall’esplosione nucleare del 6 agosto 1945 – volle compiere un gesto concreto
di pace verso colui che fu tra gli inventori della bomba atomica e che dal
peso della sua invenzione era rimasto sconvolto. “Quel giorno, in un certo senso, gli scienziati conobbero il peccato”
ebbe a dire una volta Oppenheimer e nel suo ultimo
discorso pubblico (Università di Princeton, giugno 1966) insistette sui
pericoli che poteva correre la pace per i possibili effetti negativi
dell’atomo indotti dai comportamenti umani. Ma su questa
verità non sembrano riflettere molti di coloro che, di fatto, gestiscono il
futuro del mondo, ai quali lo stesso Oppenheimer ha lasciato un lugubre messaggio su quali
sarebbero le armi con cui gli uomini dovrebbero combattere una guerra
successiva ad un conflitto nucleare: l’arco e le frecce. |
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SIATE AUDACI, FATECI SORPRENDERE di GP. M. – 08 Aprile 2017 |
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Oggi (8
aprile), mentre Roma continua la sua corsa disattenta alimentata dalla
“febbre del sabato”, alcune migliaia di giovani si raccolgono in Santa Maria
Maggiore per una veglia di preghiera presieduta dal Papa: è il prologo alle
Giornate della Gioventù che quest’anno si svolgono nelle singole diocesi la
Domenica delle palme. L’appuntamento mondiale è invece a Panama nel gennaio
2019. L’attuale
clima (non solo meteorologico) è comunque già “caldo” perché coincide con
l’inizio delle attività preparatorie del 15° Sinodo dei Vescovi che nel 2018
affronterà il tema “I giovani, la fede
e il discernimento vocazionale”. Un titolo ripido quanto una scalata
himalaiana, in un’epoca in cui l’indecisione e lo sbandamento sembrano
annebbiare gli occhi e la mente, mentre occorrerebbero energie nuove dotate
di generosità e capacità di analizzare il futuro. “Che cosa
chiedono concretamente i giovani alla Chiesa di oggi?” Questa e altre
domande frontali chiamano i giovani – credenti e non credenti - ad essere
audaci, a partecipare in maniera diretta – anche per via informatica:
www.sinodogiovani2018.va - oppure tramite i confronti aperti all’interno dei
loro organismi di appartenenza. Torneremo su
questo tema durante la “marcia di avvicinamento” e alla conclusione del
Sinodo. In questo
momento rileggiamo comunque un messaggio laico scritto oltre 70 anni fa e
che, pur nella diversità dei contesti sociologici e politici, è di una attualità
che colpisce: “Ai giovani d’oggi mi viene voglia di dire: Su,
svelti! Il mondo ha bisogno di voi, perché c’è il vuoto di una guerra da
colmare. Non avete un’ora da perdere. Tra i 20 e i 25 anni, questa è l’età in
cui la vita è vita. Non accomodatevi alle cose come sono, prendete possesso
della vostra eredità, prendetevi le vostre responsabilità. Ogni giorno nuovi
nemici si addensano sul confine dell’umanità e per batterli bisogna avere su
di loro il vantaggio dell’iniziativa. Non prendete mai un NO come risposta,
non accettate mai un insuccesso, non lasciatevi sviare da un successo. Commetterete degli sbagli, ma finché un uomo
resta sincero, generoso e combattivo i suoi sbagli non saranno di quelli che
ledono il suo prossimo. Il mondo è fatto per essere corteggiato e
conquistato dai giovani. Solo cedendo alla loro forza il mondo è
sopravvissuto e progredito”.(Winston Churchill) |
DONNE di GP. M. –
08 Marzo 2017 |
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Mi hanno
ceduto il posto sorridendo, anzi giocando, e io ho replicato alla cortesia
con un cenno ironico (la diversità della lingua ci divideva) sulla mia barba
bianca, mediatrice di rispettose attenzioni. Vent'anni
ognuna delle due, sono salite sul tram a Largo dei Cavalleggeri, subito dopo
essere uscite dalla mensa dei poveri, al termine di un turno di lavoro
senz'altro duro: l'afflusso di quanti cercano pane è spesso regolato dalle
forze dell'ordine. Stanche?
Certamente si. Ma a loro sembrò più naturale impiegare il tempo del percorso
nella recita dei salmi: credo in lingua inglese. Dalla garza
dei loro sahari veniva l'odore di cibo comunitario,
a rievocare personali esperienze lontane nel tempo e nello spazio. Le ho
salutate a Piazza Venezia, ricevendo in cambio un messaggio molto sereno (se
non diventerete come bambini ....). Non sono riuscito a portar loro le
mimose; avevano velocemente proseguito per la zona del Celio dove le
attendevano le consorelle dell'ordine di Madre Teresa di Calcutta. Io non credo
che quella mattina avessero avuto il tempo di ascoltare alla radio i
dibattiti a favore o contro la festa della donna, le dissertazioni e le
capriole cerebrali sul significato prevalente della giornata dell'otto marzo.
Semplicemente avevano continuato a trasmettere, giocando, messaggi di grande
forza che avrebbero meritato di andare a segno. Mi sono
detto: "toccato". (Come ai tempi dei vecchi schermidori, sulle
pedane ancora prive di spie luminose azionate dall'elettronica). |
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UN NUOVO PICCOLO SOLE di GP. M. –
05 Marzo 2017 |
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E’ dello
scorso 23 febbraio la notizia che una squadra di scienziati dell’Università
di Liegi, forte anche degli strumenti della NASA, ha scoperto un altro sistema solare,
distante da noi 40 anni-luce. Una “nuova” stella fredda “vecchia “ di alcuni
miliardi di anni (5.000?) e i suoi sette satelliti sono apparsi agli occhi
dei moderni telescopi e delle piattaforme stellari sparate nelle orbite
celesti. Trappist-1, il nuovo pallido sole, ha finito di
nascondersi nelle lontanissime solitudini (…e se
invece fossero abitate?) dello spazio siderale e lascia intravedere al genio
degli astronomi la possibilità di prossime sensazionali scoperte. Mi premono in
mente un paradosso e un ricordo rasserenante. Il primo: la corsa verso i segreti dello
spazio è gigantesca per fascino, impegno, destinazione di risorse.
Contemporaneamente, incuranti delle esigenze della natura, gli uomini stanno
“lavorando” per alzare il livello dei mari e far scomparire meraviglie come
le Barbados e le Maldive. Il secondo: “Voi che abitate la buona Terra”.
Con queste parole, espressive di profonda nostalgia, ci provocò Frank Borman facendoci dallo spazio gli auguri per il Natale
1968. Stava volando per preparare la missione dell’Apollo-11 con la discesa
sulla luna di Neil Armstrong e Buzz Aldrin nella notte insonne del 19 luglio 1969. Quella notte
il grande fisico Enrico Medi, giocando con un semplice regolo, assente ogni
calcolatore elettronico, abbandonò il linguaggio accademico –ma non il rigore
scientifico- e ci spiegò tra gli applausi i segreti dell’allunaggio. E parlò
anche -quella notte e poi sempre- del cammino parallelo della scienza e della
fede: “Oh voi misteriose galassie, voi mandate luce ma
non intendete … Io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e
vi scopro, vi penetro e vi raccolgo, da voi io prendo luce e ne faccio
scienza, prendo il moto e ne faccio sapienza … Io prendo voi, o stelle, nelle mie mani e,
tremando nell’unità dell’essere mio, vi alzo al di sopra di voi stesse e in
preghiera vi porgo a quel Creatore che solo per mio mezzo voi, stelle, potete
adorare”.. |
FUOCHI DI SAN LORENZO Ancora sul significato della “memoria” di GP. M. –
18 Febbraio 2017 |
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174517: è il
numero rubato al braccio nudo e alla casacca a strisce -zebra senza savana-
di Primo Levi, prigioniero ad Auschwitz. Appare,
questo numero, nel libro “La tregua” e aggredisce anche gli ultimi fotogrammi
dell’omonimo film, subito dopo i silenzi di una colazione solitaria durante
la quale la frazione del pane bianco e fresco –rumore del vetro che si rompe-
assume i toni (involontari in Levi?) di un altro Sacrificio. Ho alimentato
questi pensieri mentre riflettevo sulla fugacità del ricordo che non
risparmia nemmeno i peggiori eventi legati alla guerra, per i quali in un
primo momento ci eravamo augurati un rifiuto definitivo. L’oggettivamente
orribile sembra esistere solo fino a quando non appare un fatto nuovo al
quale attribuire lo stesso aggettivo. Così lo strazio di Auschwitz dura
quanto i “fuochi di San Lorenzo”, il calvario dei lager si ripete e il gioco
delle armi ricomincia. “Miti in pace, atroci in guerra”. E’ una
frase di Levi, credo estensibile a tutti quegli uomini che da un lato si
prodigano –individualmente o come collettività- oltre ogni limite per la
salvezza di un bambino in pericolo (o
di una balena spiaggiata) e dall’altro trovano
nella guerra il chiodo al quale ancorare il pretesto per distruzioni e
omicidi accompagnati da inceneritori di nuovo tipo. Strano
destino, chiamato a tessere a fasi alterne l’elogio della vita e quello della
morte, con il rischio di far assumere il secondo come alibi morale,
disimpegnando dalla ricerca della pace sempre e comunque. E dovunque: “perché dappertutto gli uomini piangono
nello stesso modo”. |
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AUSCHWITZ di GP. M. –
27 Gennaio 2017 |
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Come ogni
anno, il 27 gennaio è la “giornata della memoria” della shoah. Fare memoria
non è semplicemente ricordare. E’ rivivere, rendere attuale, tracciare un
filo di continuità tra passato-presenre-futuro,
così che le esperienze –esaltanti oppure terribili- possano assumere il
valore della riflessione e dei comportamenti che dovrebbero derivarne. “Vi trovate in un luogo di orrore e di tragedia
eccezionale: comportatevi con dignità per rendere omaggio a co¬loro che qui hanno sofferto e qui sono morti". Ho letto
questo messaggio all'ingresso di Auschwitz-Birkenau
e mi è calato dentro senza bisogno di ripeterlo. Sono rimasto bloccato: cosa
significava comportarsi con dignità di fronte ai segni evidenti dello strazio
del corpo e dello spirito, della speranza tradita, della vita annullata,
della fede irrisa, dell'inganno semplificato a gioco? Istintivamente
ho incominciato a camminare in punta di piedi lungo i binari che sfondano la
porta del lager e si spingono fino alle baracche per non interrompere la
continuità della prigionia iniziata nei vagoni piombati; poi ho cercato un
po' di silenzio nel quale si è inserito il ritmo di "hevenu
shalom alechem". Ma
soprattutto ho assorbito immagini da affidare alla memoria: non per
alimentare l'odio, ma quantomeno per non disperdere i significati del dolore,
soprattutto perché immenso e dalle espressioni quotidianamente inventate. Assorbire le
immagini per averne paura e per assegnare ai loro promotori diretti e
indiretti il giusto posto nella storia. Assorbire le
immagini per alimentare un discorso di pace, di pratica della tolleranza
intesa come "accettazione sincera della diversità, negazione di ogni
forma di razzismo... adozione di un metodo non violento nei rapporti
sociali". Auschwitz non
è stato il più grande dei campi di concentramento, ne è stato l'epicentro per
l'elaborazione ideologica e operativa dei metodi di tortura. E a Majdanek –altro luogo di sterminio degli ebrei, dei
religiosi, degli zingari, degli omosessuali- la scuola di Auschwitz aveva
insegnato raffinati livelli di umor nero: le SS ritennero di battezzare
"Piazza delle rose" l'angolo del lager fatto rosso dal sangue delle
fucilazioni e delle percosse. La
solidarietà supera il perdono in quanto il suo vocabolario non contempla il
rancore: però vuol continuare a dire che le rose debbono fiorire solo nei
giardini. |
PER TUTTI GLI UOMINI DI TUTTI I
TEMPI di GP. M. –
08 Gennaio 2017 |
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“Per tutti
gli uomini di tutti i tempi e di tutti i Paesi”: così ho pensato dopo aver
ascoltato questo brano del “Primo libro dei Re”: In quei giorni il Signore apparve a Salomone in
sogno durante la notte e gli disse: “Chiedimi ciò che io devo concederti”. E
Salomone disse: “Signore Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di
Davide mio padre. Ebbene io sono un ragazzo; non so come regolarmi. …Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia
rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male …”. Al
Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare. Dio
gli disse: “Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né
una lunga vita, né una ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai
domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco faccio come tu hai
detto. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: come te non ci fu alcuno
prima di te né sorgerà dopo di te”. Per tutti gli
uomini di tutti i tempi: davvero la voce della Bibbia non fallisce l’appuntamento con
l’attualità. Al di là di
ogni motivo di fede, questo brano aggredisce ognuno di noi, il nostro obbligo
di capire il disegno che gli altri –Cielo e terra- attendono anche dalla
nostra piccola storia. E questo
giovane Re, lontano dai ”falsi in bilancio”, lontano dalla corruzione e teso
a fare propria la regola d’oro della saggia amministrazione per compiere atti
di giustizia e di pace, mi rassicura e traccia un sentiero alla mia
meditazione e alle mie speranze. |
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UNO SCARTO IMPROVVISO E TERRIBILE di GP. M. – 31 Dicembre 2016 |
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Uno scarto
improvviso e terribile: dalle immagini felici del Natale, illuminate da un
Bambino sceso “come pioggia sull’erba” per favorire la pace, allo spettacolo
tragico dell’uccisione di tanti Bambini Innocenti. E’
estremamente difficile non provare sgomento e tentare una giustificazione: la
Santa famiglia fugge dall’eccidio
provocato e Rachele piange rifiutando di essere consolata (Mt 2,16-18). L’unico
pensiero che frena la mia angoscia è che ci troviamo di fronte al prologo
della passione e della redenzione: Gesù è subito perseguitato da chi (Erode)
teme un’insidia per il proprio potere e il suo nascondimento, la sua
“emigrazione” sono il primo atto di un cammino designato che porta diritto
alla Croce. E’ il passo iniziale della nostra salvezza, alla quale anche i
Bambini hanno partecipato meritando il nome di Santi. E sempre nel
tentativo della mia personale ricerca di un perché vedo nel dolore di
Rachele la prefigurazione di quello di
Maria lungo la strada del Calvario e ai piedi della croce. Dolore che è
simbolo e invito ad essere compreso. Dolore antico
di duemila anni che purtroppo trova la sua prosecuzione in quello di madri e
bambini straziati dagli eventi di oggi (… le guerre , le persecuzioni) e che
spesso è placato non dall’accoglienza
–che pure esiste ed è il volto attuale del miracolo- ma dal fondo del mare. |
LA CULLA di G. Paolo Manganozzi - 10 Dicembre 2016 |
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Sarà così
anche quest’anno: a Natale faremo una grande festa, abbagliante di lustrini. Probabilmente
però sarà assente il Personaggio nel cui nome risuonano già falsamente i richiami alle coreografie
dell’evento. Forse Gesù
non scenderà a rivisitare la culla di Greccio,
fatta di paglia e avvolta nel silenzio mistico pensato da
San Francesco per rendere costante ed eterna la memoria di un Bambino avvolto
nelle fasce della nascita e nelle bende della morte-resurrezione:
celebrazione dell’uomo redento. Gesù non
scenderà a Greccio: troppo accogliente il caldo
della paglia e il respiro degli animali in un tempo in cui per molti bambini
vengono preparati ben altri presepi. Gesù si fermerà davanti a nuove culle
per suggerire una preghiera nuova. Padre nostro,
aiutaci a capire che il vano motore delle automobili non è un letto dove
raggomitolarsi per sfuggire agli orrori della guerra e ai proiettili di tutti
contro tutti, sfidando il rischio rovente della combustione, ben diversa
dalle carezze del lino e della lana che accolgono i neonati. Padre nostro,
sigilla le sponde dei tir prima che la cupidigia e il cinismo degli uomini li
trasformino in culle senza aria e senza luce. Padre nostro,
concedi alle Marie nere di poter partorire i loro bambini, in un letto anche
se povero, senza che, peraltro, nessuno ignori i miracoli di accoglienza e di
tecnica che si materializzano nelle
Cabine delle navi di soccorso. Padre nostro,
fa’ che la culla delle onde di
risacca, stordita per aver custodito
il sonno gelido di Aylan –tre anni- non accolga più bambini per respingerli
con dolce-falso dondolio verso le spiagge dalle quali essi vogliono partire
per nascondersi alle traiettorie dei proiettili, ai crampi della
fame, alla mancanza di medicine, all’assenza di almeno un simulacro di
scuola. Padre nostro,
fa’ che l’uomo ritrovi il senso dell’umanità. |
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I BAMBINI CI GUARDANO SMARRITI di GP. M. – 04 Dicembre 2016 |
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La povertà è
cresciuta pesantemente nel nostro Paese ed è dilagata nei confronti di
bambini, ragazzi e giovani: è la sintesi (parziale) della più recente ricerca
della Caritas. Oggi i
bambini in stato di povertà assoluta sono in Italia più di un milione:per
loro questo significa non avere un’alimentazione adeguata, possedere un solo
paio di scarpe spesso malmesse, non potersi permettere di invitare un amico a
casa o far festa per il proprio compleanno, soffrire i pesi dell’emigrazione
forzata e dell’esclusione sociale, scuola compresa. Praticamente
quotidiane sono le denunce del Papa in difesa della “sacralità” dei bambini,
schiacciati dal calcolo cinico della politica (le guerre, la fame …) e della
cupidigia e perversione che abitano nel cuore di molti uomini. Ugualmente
pressanti –e purtroppo poco ascoltati e incisivi- sono appelli e interventi
dell’Unicef e della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza. Diretta e
coraggiosa –come sempre- è la denuncia che don Luigi Ciotti fa attraverso il
suo libro “La classe dei banchi vuoti” che richiama la nostra attenzione
sulle tante forme di violenza (la
mafia, le guerre, la fame, l’ignoranza l’abbandono, l’emarginazione …) assimilate alla morte anche fisica. L’angolo più
scuro di questo già oscuro problema riguarda i bambini figli di immigrati
privi di permesso di soggiorno. Per loro le
privazioni legate alla povertà includono anche quella della non fruizione del
Servizio sanitario nazionale, al quale potrebbero avere almeno parziale
accesso. I loro genitori si sentono infatti bloccati dal timore
dell’identificazione e dalle barriere linguistiche-culturali e delle
procedure. L’unica loro ancora è quella del volontariato singolo e associato,
delle parrocchie e degli altri enti caritativi. Forse è il
caso che ognuno di noi si metta in ascolto e applichi il messaggio a quel
poco (o tanto) che può fare, senza rifugiarsi dietro il paravento di ciò che
altre persone non fanno. |
LE PORTE SANTE DELLE PERIFERIE
di G. Paolo Manganozzi - 27 Novembre
2016 |
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Si sono chiusi i
battenti delle Porte del 29° Anno Santo. Affiorano i ricordi e i pensieri … Quando Papa
Francesco rese pubblica la propria intenzione di voler aprire la Porta del
Giubileo 2016 a Bangui, per un attimo mi balenò l’immagine (peraltro
rivelatasi non isolata) di un gesto che andava a togliere a Roma un segno del
suo primato ecclesiale, quasi uno scippo. Un vedere
miope non mi aveva fatto cogliere da subito il significato che andava sempre
più assumendo il pensiero,caro a Francesco, di “Chiesa delle periferie”. Nel momento
in cui la Porta della cattedrale centroafricana si è aperta senza rumore,
senza l’intervento del martello argentato –una porta di semplici assi di
legno-, ho scorto in una specie di dissolvenza le Porte Sante di Roma e ho
pensato che esse non stavano perdendo la loro solennità fatta di fede di
popoli in cammino francigeno, di storia di genti e
di contrade, di arte eccelsa impressa nel bronzo. Semplicemente guardavano
con occhi rischiarati dal vento del tempo nuovo gli effetti dell’istanza
evangelica che ci vuole “ai crocicchi delle strade” per chiamare alle nozze
del Re tutti coloro che incontriamo: “cattivi e buoni”, lontani in senso
spirituale e geografico, sbandati e soli. Molto
semplicemente, le Porte Sante di Roma stavano condividendo la loro solennità
secolare con la Porta giovane di Bangui per darle voce, per farla parlare con
pari dignità e forza usando il linguaggio immediato del suo popolo,
linguaggio che le parole e i gesti del Papa –privo di mitria e coperto del
solo piviale liturgico- hanno reso anche visibile. D’altra parte
questa condivisione del primato era apparsa chiara già dal giorno
dell’indizione del nuovo Giubileo, quando la possibilità di acquisire i doni
spirituali era stata estesa ad ogni
luogo, anche il più sperduto. Forse il
cammino ecclesiale sta intensificando il ritmo dei suoi passi. |
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LA PORTA SANTA DEI POVERI di MR.G. - 18 Novembre 2016 |
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Ho varcato la
Porta Santa aperta da Papa Francesco
un anno fa a Roma presso l’Ostello che
la Caritas diocesana mette ogni giorno
a disposizione dei poveri, grazie al lavoro di un gruppo di volontari. Ho varcato
quella umile Porta Santa e invece che nella magnificenza di una basilica mi sono trovata in un grande
refettorio, pronto a dispensare quotidianamente 500 pasti (i posti-letto sono 130) ai più poveri tra i
poveri. L’emozione mi
ha colto di getto e mi sono scoperta in ginocchio, come di fronte a un
tabernacolo: migliaia di facce sconosciute mi baluginavano virtualmente
davanti agli occhi e assumevano i contorni del volto di Cristo Signore. (L’Ostello Caritas di Roma si trova presso la
Stazione Termini, in v. Marsala. E’ stato aperto nel 1987 per iniziativa di
don Luigi Di Liegro ed è un bell’esempio di collaborazione tra
Caritas diocesana, Amministrazione comunale e volontariato.) |
NEL NOME DEL PADRE COMUNE di GP.M. - 5 Novembre 2016 |
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Papa
Francesco è tornato dalla Svezia dove ha pregato insieme ai capi della Chiesa
luterana in occasione delle celebrazioni per i 500 anni della Riforma
protestante. Un viaggio
-una presenza- nel segno del dialogo che il Papa sta conducendo con fede e
nella speranza di vedere risanata la ferita che divide da cinque secoli i luterani dai cattolici. Il dialogo con
tutte le Chiese cristiane, iniziato da S. Giovanni Paolo II e proseguito da
Benedetto XVI, trova in Francesco un continuatore convinto e coraggioso che
attribuisce ai ponti il significato vero per il quale questi vengono
costruiti. E’ uno sforzo
che da parte dei credenti va accompagnato con la preghiera e il consenso
costanti, non limitati alle celebrazioni annuali della settimana per l’unità
dei cristiani. |
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Parrocchia San Filippo Neri alla Pineta
Sacchetti - Via Martino V° 28 - 00167 Roma - Tel.
06/66000409