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Periodico della Parrocchia San
Filippo Neri
ARCHIVIO ANNO PASTORALE 2018-2019
Colpo d'ala
Rubrica senza vincolo di
periodicità. Funzionerà ogni volta che avremo qualche cosa di utile da dire
Proviamo a riflettere. E per farlo ci incontreremo virtualmente qui
per cercare di cogliere il senso di una breve provocazione.
Una data, un fatto, una persona, un luogo..... possono suggerirci un pensiero al quale far seguire un proposito e un comportamento.
ACCETTARE LA VITA (Enzo Biagi
ricorda Mamma Bice) di GP. M. – 11 maggio
2019 |
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La mia prima
figlia, Bice, è nata nello stesso giorno, cinquant’anni dopo, E’ quella che
più le assomiglia nel carattere, Anna nell’aspetto. Carla, che ha avuto
l’infanzia più tormentata dalle malattie, ha vissuto più a lungo con
lei. In tutte e tre ha lasciato un segno della sua personalità: era una
donna forte. Aveva saputo accettare la vita, e non aveva paura di morire. Non c’ero
quando se ne andò. Stavo intervistando a Parigi il professor Negri, teorico
della rivolta. L’ho vista nelle bara: aveva l’aria fiera e severa di una
principessa azteca. Mi hanno detto che, prima di spirare, mi ha cercato; e
poi ha chiamato mio padre: “Dario, vengo, abbracciami”. Da tanto tempo non lo
ricordava, mentre aveva in mente i suoi genitori. E’ rimasta
vedova a cinquantacinque anni: io ne avevo ventidue. La consideravo una
vecchia, Non ho mai pensato che potesse trovare un compagno; Aveva avuto
poche gioie, non credo sia mai stata felice. Io sono il
“grande”, e mi è sempre toccata la parte del capofamiglia. E ho vissuto con
l’ossessione di non farcela, e credo sia stata la sua angoscia. Nel libretto che aveva alla posta, c’erano
tutti i soldi che le avevo mandato. Spendeva solo quelli della pensione del
babbo: una miseria. Faceva durare un pollo quanto un vitello. Dal Vietnam le
avevo portato un gingillo d’oro che per quella gente è il simbolo della
speranza: non lo abbiamo più trovato. Chi sa come lo aveva smarrito. Le piaceva la
casa di Sasso Marconi, i fiori, il canto degli uccelli, gli scoiattoli che
saltellano tra il filare dei noci: raccoglieva i frutti caduti. Nella
vecchiaia ritrovava i sentimenti dell’innocenza. Credeva in
Dio, nella giustizia e parlava col Signore con assoluta confidenza, direi su
un piano di parità: Lui sapeva che la sua serva Bice aveva cercato di
rispettare le regole. (Tratto da “Questa è mia madre” – Venti scrittori
italiani raccontano la loro mamma – Paoline, 1997. A cura di F. Parazzoli). |
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LIBERAZIONE /
MIRKA di GP. M. – – 01 maggio 2019 |
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Quest’anno la
74^ ricorrenza del 25 aprile ha riproposto con rinnovata, lodevole
insistenza le ragioni che rendono
necessaria la memoria della nostra
“lotta di liberazione”. Lo ripetiamo:
fare memoria non è semplice ricordare;
è rivivere, rendere attuale, tracciare un filo di continuità tra passato-presente-futuro, così che le esperienze possano
assumere il valore della riflessione e dei comportamenti conseguenti. E
questo compito ogni comunità, soprattutto se vuole chiamarsi educativa,
deve assumerselo. La nostra
storia recente non può non essere letta-studiata-compresa-valutata
(luci e ombre) accanto a quella delle glorie antiche. Non può essere affidata
alla fretta di un giorno la conoscenza di avvenimenti che incidono, nel bene
e nel male, sulla vita del nostro tempo. Tra le
testimonianze della “lotta di liberazione” non possono non essere incluse le
“Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana” (Oscar Mondadori,
1971): una documentazione drammatica che andrebbe meditata soprattutto da chi
si abbandona a incredibili nostalgie e rievocazioni di un passato tragico. Quel passato
costò la vita a 80.000 nostri connazionali: molti morirono in combattimento,
altri in esecuzioni di massa, altri ancora a seguito di processi sommari
privi di possibilità di difesa. Le “Lettere”
raccolgono i sentimenti, le speranze, gli abbracci di 199 tra i condannati,
di ogni livello culturale e sociale, trasmessi con messaggi semplici e
terribilmente veri prima della fine
davanti al plotone di esecuzione. PAOLA GARELLI
(MIRKA), 28 anni, è una di loro. Le sue ultime parole furono per la
figlia. “Mimma cara, la tua mamma se ne va pensandoti e
amandoti, mia creatura adorata; sii buona, studia e ubbidisci sempre agli zii
che t’allevano, amali come fossi io. Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri
parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro. Non devi
piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo
una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo. Abbraccio con il pensiero te e tutti,
ricordandovi. La tua infelice mamma. |
IL MIO AMICO GIUDA di
GP. M. – 16 aprile 2019 |
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Il Giovedì
Santo del 1958, don Primo Mazzolari, un precursore
del Concilio Vaticano II, pronunciò un’omelia che commosse i suoi
parrocchiani di Bozzolo e presto divenne famosa. Di
quell’omelia ricordiamo insieme la parte finale, magari riproponendoci di leggerne
il testo integrale. Povero Giuda.
Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è quello di vendere il
Cristo; è quello di disperare.
Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a
piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti
gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha
perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci
sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai
piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta
della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui.
Povero Giuda. Una croce e un albero di un impiccato. Dei chiodi e una corda.
Provate a confrontare queste due fini. Voi mi direte: "Muore l’uno e
muore l’altro". Io però vorrei domandarvi qual è la morte che voi
eleggete, sulla croce: come il Cristo, nella speranza del Cristo, o
impiccati, disperati, senza niente davanti. Perdonatemi se questa sera che avrebbe dovuto
essere di intimità, io vi ho portato delle considerazioni così dolorose, ma io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui
anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei
giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per
Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola
amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non
posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore.
E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del
bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo
riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai
due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo
di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua
misericordia. E adesso, che
prima di riprendere la Messa, ripeterò il gesto di Cristo nell’ ultima cena,
lavando i nostri bambini che rappresentano gli Apostoli del Signore in mezzo
a noi, baciando quei piedini innocenti,
lasciate che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda
che forse anche voi avete dentro. E lasciate che io domandi a Gesù, a Gesù
che è in agonia, a Gesù che ci accetta come siamo, lasciate che io gli
domandi, come grazia pasquale, di chiamarmi AMICO. La Pasqua è questa parola
detta ad un povero Giuda come me, detta a dei poveri Giuda come voi. Questa è
la gioia: che Cristo ci ama, che Cristo ci perdona, che Cristo non vuole che
noi ci disperiamo. Anche quando noi ci rivolteremo tutti i momenti contro di
Lui, anche quando lo bestemmieremo, anche quando rifiuteremo il Sacerdote
all’ultimo momento della nostra vita, ricordatevi che per Lui noi saremo
sempre gli amici. |
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COME LE RONDINI di GP. M. –
– 23 marzo 2019 |
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Chiamiamoli
ragazzi; se continuiamo a chiamarli bambini rischiamo di offenderli. Anche
perché i loro comportamenti non hanno proprio nulla di infantile; a parte
–forse- una piccola dose di sconsideratezza o di gioco, magari rubata ai
gesti di un superman da schermo tivù. Chiamiamoli ragazzi e includiamoli tra i protagonisti di queste prime settimane di quasi-primavera. Cito, per
memoria, tre nomi espressivi di altrettanti eventi. Greta Thumberg è la svedesina quindicenne
che ha portato nelle piazze di mezzo mondo centinaia di migliaia (oltre un
milione?) di coetanei, capaci di scuotere –senza gesti scomposti ma solo
ironici e pittoreschi- il torpore degli adulti, costringendoli a prendere
coscienza del fatto che i rischi che incombono sul clima sono una realtà e
che ormai quello della terra è un grido, una implorazione, talvolta una
vendetta distruttiva. Non mancano i
detrattori, che parlano e scrivono di un gesto velleitario inventato per
marinare la scuola; in molti di noi però ha fatto strada il pensiero che si
tratti di un piccolo fiammifero acceso, capace di un possibile benefico
incendio. Un altro
episodio ha il nome di “Libera”, l’associazione creata da don Luigi Ciotti
per contrastare tutte le mafie: quelle
che usano il kalaschnicov e quelle che conoscono i
segreti dell’informatica; e poi quelle che monopolizzano i latifondi, operano
nel segreto dei caveau bancari, penetrano nelle sedi delle industrie piccole
e grandi, condizionano diversi mondi del lavoro, spesso frequentano le aule
parlamentari e delle amministrazioni pubbliche. A Padova, il
21 marzo scorso, come in tante altre città in tanti altri giorni, migliaia di giovani e ragazzi hanno
alimentato con la loro presenza e la loro voce le nostre comuni speranze di giustizia. E ancora, nel
giorno in cui tornano le rondini (continueranno a volare nel nostro cielo
malgrado l’insidia della terra inquinata e del clima impazzito?) 51 ragazzi dodici-tredicennni di Crema, usciti indenni dal rogo
terroristico premeditato da un italo-senegalese,
hanno dato prova di grande intelligenza, scaltrezza e assoluto autocontrollo,
consentendo l’intervento risolutivo dei bravissimi carabinieri di S. Donato
Milanese. Vento di Primavera. Di questi
ragazzi ci hanno colpito anche lo spirito di gruppo, il senso
dell’organizzazione e dell’appartenenza civica, il fatto, non privo di
significato, che alcuni di loro –superprotagonisti tra i protagonisti- si
chiamino Riccardo, Rahmi, Adam,
Scemata Ray: Italia, Egitto, Marocco si sono dati la mano. |
UNA SEGNALAZIONE – 09 marzo 2019 |
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Il libro
“Didattica dell’umorismo” (Festina Lente Edizioni, pp
216, Euro 20) racconta come, perché,
quando si possa usare l’umorismo anche a scopo curativo (fisico e psicologico),
e fornisce un migliaia di storielle, freddure, situazioni comiche, dalle più
semplici alle più assurde e sorprendenti. E’ scritto da Domenico Volpi,
collaboratore di Nuova Proposta, noto come autore di molti libri per bambini
e ragazzi, e come redattore del glorioso “Il Vittorioso”. Ci sembra un
sussidio prezioso in occasione dei prossimi campi estivi per ragazzi o anche
per animatori che operano all’interno di comunità per giovani e adulti
(classi scolastiche, oratori, case di riposo…). |
LA TERRA CHIAMA di GP. M. – 09 marzo 2019 |
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E’ di ieri la
notizia che nel mondo le varie forme di inquinamento (aria, terra, mare),
causano la morte di una persona ogni cinque secondi. Ormai quello
della Terra è un grido, una implorazione; talvolta una vendetta distruttiva. La Terra ci
sta chiamando per nome e ognuno di noi – ragazzo o adulto – deve rispondere con i propri
comportamenti. La sfida per
contrastare la strage silenziosa prodotta dall’inquinamento è stata raccolta
da Greta Thumberg,
una ragazza svedese di quindici anni scesa in piazza per protestare contro il
disinteresse delle istituzioni riguardo alla tutela del clima del nostro
pianeta. Greta ha
inaugurato un movimento rivoluzionario conosciuto come Free Days For
Future, che attraverso i social network si è guadagnato rapidamente un
larghissimo successo tra i giovani. Tutti i venerdì mattina Greta mette in
atto una manifestazione di protesta a Stoccolma: si presenta armata di
cartelli davanti al palazzo del parlamento svedese, per richiamare
l’attenzione sullo scarso impegno delle autorità in tema di salvaguardia del
pianeta e opporsi al disinteresse dei potenti per la questione dei mutamenti
climatici. La protesta
ha avuto inizio nel mese di agosto 2018 e da allora si è diffusa a macchia
d’olio in tutto il mondo. Sono sempre più numerosi i giovani che il venerdì
scendono in piazza per far sentire la
loro voce e chiedere ai responsabili del futuro di tutti noi di non voltarsi
dall’altra parte ma di agire ora. Nel mese di
dicembre scorso Greta è stata invitata in Polonia, a Katowice, per
partecipare in veste di relatrice alla conferenza mondiale sul clima e ha
pronunciato questo memorabile discorso di denuncia ai leader mondiali: “Mi chiamo Greta Thunberg,
ho 15 anni e vengo dalla Svezia. Parlo a nome Climate
Justice Now. Molte
persone dicono che la Svezia è un piccolo Paese e non importa quello che
facciamo, ma ho imparato che non sei mai troppo piccolo per fare la
differenza. E se alcuni bambini possono ottenere titoli di giornale in tutto
il mondo solo non andando a scuola, allora immaginate cosa potremmo fare
tutti insieme se lo volessimo davvero. Ma per farlo dobbiamo parlare chiaramente, non
importa quanto possa essere scomodo. Parlate solo di una crescita economica eterna e
verde perché avete troppa paura di essere impopolari. Parlate solo di andare avanti con le stesse
cattive idee che ci hanno portato in questo casino, anche quando l’unica cosa
sensata da fare è tirare il freno di emergenza. Non siete abbastanza maturi
per dire le cose come stanno. E anche il fardello che state lasciando a noi
bambini. Ma non mi interessa essere popolare, mi interessano la giustizia
climatica e il pianeta vivente. Ma la nostra civiltà viene sacrificata per
l’interesse di un numero molto ridotto di persone di continuare ad accumulare
enormi somme di denaro. La nostra biosfera viene sacrificata in modo che i
ricchi di Paesi come il mio possano vivere nel lusso. Sono le sofferenze dei
molti che pagano i lussi dei pochi. Nel 2078 celebrerò il mio settantacinquesimo
compleanno. Se avrò figli, forse passeranno quella giornata con me. Forse mi
chiederanno di voi. Forse chiederanno “perché non hai fato nulla mentre c’era
ancora tempo per agire”. Dite di amare i vostri figli sopra ogni altra
cosa, eppure state rubando il loro futuro davanti ai loro stessi occhi. Finché non inizierete a concentrarvi su ciò che
deve essere fatto piuttosto che su ciò che è politicamente possibile, non c’è
speranza. Dobbiamo mantenere i combustibili fossili nel
sottosuolo e dobbiamo concentrarci sull’equità. E se le soluzioni all’interno
del sistema sono così impossibili da trovare, forse dovremmo cambiare il
sistema stesso. Non siamo venuti qui per chiedere assistenza ai
leader mondiali. Ci hanno ignorato in passato e ci ignoreranno di nuovo.
Abbiamo finito le scuse e stiamo finendo il tempo. Siamo venuti qui per farvi sapere che il
cambiamento sta arrivando, vi piaccia o no. Il vero potere appartiene alla
gente. Grazie.” |
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HAMED FDIL, detto BAFFO di G. Paolo Manganozzi
– 23 febbraio 2019 |
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Il clima del Natale
imminente (13 dicembre 2017) non gli aveva suggerito pensieri di pace; forse
ne avevano colto soltanto l’aspetto del folclore offerto dalle luminarie. Difatti uno
di loro, il più giovane, non aveva esitato a dire al giudice che il falò
umano era stato inventato per rompere il peso della noia. Era avvenuto
così che, a S. Maria di Zevio (Verona), due ragazzi minorenni avevano appiccato il
fuoco alla vecchia auto in cui dormiva Hamed Fdil, un immigrato di 65 anni –da 35 in Italia-, rimasto senza casa dopo aver perduto il lavoro.
E il mite Hamed era morto bruciato. Lo scorso 31
gennaio la dott.ssa Teresa Rossi, giudice presso il tribunale di Mestre, ha
emesso un verdetto che ha fatto molto stupire e molto discutere: ha
dichiarato subito fuori dal procedimento giudiziario il ragazzo più giovane
in quanto non perseguibile perché al di sotto dei 14 anni; ha sospeso per una
triennio la sentenza nei confronti del ragazzo più grande -17 anni-
subordinandola all’esito del suo comportamento all’interno di una comunità di
recupero. Dipenderà dalla sua incapacità o meno di riabilitarsi la pronuncia
differita di una condanna oppure dell’estinzione del reato. Va anche
considerato che i familiari di Hamed non avranno
comunque diritto ad alcun risarcimento in quanto non hanno potuto costituirsi
parte civile nel processo perché impediti dalla minore età degli imputati. Penso che
dopo la lettura di questa cronaca ognuno di noi vorrà dare spazio alle
proprie considerazioni. Personalmente
ho provato un senso di sconfitta e di tristezza perché avevo creduto che mai avrebbe potuto
ripetersi una storia simile a quella che descrissi alcuni anni fa, le cui
conclusioni, peraltro, mi sembrano oggi smentiti dai fatti. “Valentino Nogali mi ha
fatto una grande impressione; non per le
ustioni diffuse fino a devastargli
anche il volto ma per la sua
compostezza civile. Le sue parole -al di là della forzata immobilità
del corpo- avrebbero potuto essere pietre in traiettoria; invece hanno
trasmesso, nei contenuti e nel tono, un messaggio pacificante. Sciacalli mascherati da giustizieri
("neonazi" o affini) gli avevano incendiato il tugurio che
l'ospitava al Colle Oppio, cogliendolo nel sonno. Lui -africano- era stato
scosso dal brivido della savana ed era balzato fuori come una gazzella
impazzita. Salvandosi. Dal suo letto di ospedale Valentino ha parlato di
fiamme rapide sul combustibile preventivamente cosparso e si è quasi stupito
che per qualcuno potesse avere avuto un interesse (nel bene e nel male) il
suo volto di somalo. Eravamo vicini al Natale: notte di fuochi diversi ma
anche notte di insidie tessute per
bocca del re. Speriamo che l'allarme prodotto dalla sofferenza
di Valentino nella coscienza della gente e nel sistema difensivo dello Stato
riesca a porre una delle premesse per
evitare il ripetersi della strage antica degli innocenti”. |
I RICCHI E I POVERI di G. Paolo Manganozzi
– 02 febbraio 2019 |
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Risuonano
ancora (e non sono musica per le orecchie) le note del “Rapporto Oxfam 2019”. “Oxfam” è un’organizzazione internazionale (300 enti non
profit, presenti in quasi 100 nazioni, Italia inclusa) impegnata nell’impresa
di contribuire alla riduzione della povertà nel mondo. I giornali e i servizi radio-tv hanno
titolato: “L’ingiusta distribuzione della ricchezza. 262 milioni di bambini
non possono andare a scuola, 10 mila persone al giorno muoiono perché non
hanno accesso alle cure mediche”. Abbiamo letto
e immediatamente abbiamo pensato (che la globalizzazione ha la possibilità di
allargare i confini del benessere, ma ne diventa il messaggio più tetro per
iniquità distributiva. Le cifre le
ipotesi Prestiamo
insieme attenzione ad alcuni dati statistici
e ad alcune ipotesi correlate presenti nel “rapporto”: = 26 ultramiliardari, da soli,
possiedono una ricchezza pari a circa quella dei poveri estremi del mondo,
poveri in continuo aumento, chiamati a vivere con un reddito inferiore a 2
dollari al giorno; così Paperon de’ Paperoni nuota in solitudine nei suoi dollari e perde
progressivamente il senso dei bisogni esistenziali della società che premono alle porte
blindate della sua cassaforte. Capofila
della pattuglia dei ricchi da stratosfera è il patron
di Amazon con un patrimonio netto stimato (inizio anno 2018) in 213 miliardi
di dollari, cioè di un totale 100
volte più grande della spesa sanitaria dell’intera Etiopia (170 milioni di persone). (E’ da tenere
presente che, pur senza toccare i vertici peggiori dello squilibrio
distributivo, sempre secondo Oxfam, l’Italia vede
il 72% della propria ricchezza nazionale in mano al 20% dei suoi cittadini
più ricchi). = Le esportazioni (cioè gran parte degli introiti) dei popoli ricchi
praticamente polverizzano quelle delle nazioni povere; è il gioco al massacro
dei mercati governati dalle forze dei grandi capitali o lasciati agire
secondo una proposta ipocrita dei principi di libertà e di giustizia,
proposta che non può non sapere che una
totale libertà dei potenti non è compatibile con il diritto che hanno
anche i deboli e i meno capaci di vivere una vita decente. = Le politiche fiscali sono inserite da
Oxfam tra le principali cause della disuguaglianza
esistenziale umana, legata –forse soprattutto- alla latitanza dei governi in
materia di vere misure di contrasto; viene infatti registrata l’erosione del
principio di tassazione progressiva, con il privilegiamento
dei carichi fiscali sui patrimoni e i redditi di impresa rispetto a quelli
sui redditi da lavoro e sui consumi.
Il tutto a scapito dei fondi da destinare alla creazione dei servizi ai quali
far accedere le persone più povere.
Viene stimato che basterebbe l’aumento dello 0,5% dell’attuale tassazione sui
patrimoni di appena l’1% dei ricchi della terra per affrontare con successo
il problema scolastico e sanitario di milioni di individui. = La disparità di trattamento riguarda anche il ruolo e la retribuzione
dell’attività femminile: A trarne vantaggio sono gli uomini, che controllano
l’86% delle aziende e possiedono il doppio della ricchezza delle donne,
peraltro penalizzate anche in tema di trattamento economico lavorativo
(-23%); è escluso dal calcolo il loro impegno gratuito nelle attività di
cura, familiari e no. = Il
contrasto a povertà e disuguaglianze dipende dalla rete dei servizi
pubblici disponibili, da adottare come componente essenziale del più ampio
sistema di protezione sociale. A quanto già
rilevato circa la grave impossibilità di accesso alle cure sanitarie, vanno
aggiunte le stime che riguardano la scuola. Stime secondo le quali se tutti i
bambini potessero fruire dell’insegnamento elementare a prescindere
dall’entità del conto in banca familiare,
almeno 171 milioni di loro potrebbero evitare la povertà estrema. = Il discorso sulla scuola può essere esteso
a quello più generale dell’informazione e quindi all’incidenza dei moderni
strumenti mediatici. Già venti
anni fa (rapporto Undp 1999) i Paesi più poveri
fruivano soltanto dello 0,2% delle opportunità di comunicazione offerte da
internet contro il 93,3% di quelle sfruttate dai Paesi ricchi. Questo dato
statistico ha il significato profondo di come gli individui possono irrompere
nella conversazione globale e di come tale possibilità sia patrimonio di
quanti dispongono dei mezzi per acquistarne gli strumenti (mezzi tecnici,
conoscenza delle lingue …). Ad essi è dato di imporre i propri linguaggi e i
propri beni e attuare così una “gigantesca colonizzazione”, rimanendo in
stanze confortare dai condizionatori. Il gioco
delle cifre e dei temi trattati dal Rapporto Oxfam
e da altri documenti consultati potrebbe proseguire. Ne affidiamo l’intero
testo all’ulteriore approfondimento personale e concludiamo con una
estemporanea riflessione: allo scoccare dell’1 gennaio 2019 è certamente arrivato sulla terra un nuovo
abitante. E’ un bambino? E’ una
bambina? E’ bianco/a? Nero/a? Forse giallo/a? Non lo sapremo mai, perché non
c’è fotofinish capace di documentare a chi veramente appartiene l’attimo in
cui il primo essere umano ha concluso
la sua corsa verso il mondo: meglio così. Altrimenti non sapremmo dirgli/dirle se ha
attraversato i millenni per giungere
alla città della gioia oppure a quella del dolore. |
FIGHT CLUB di GP. M. – 19 gennaio
2019 |
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Non so se
l’intervento (oltre sessanta fermati e identificati) e la vigilanza delle
Forze dell’ordine, seguiti dall’appello, a genitori e figli, del questore di Piacenza hanno sortito un
buon effetto deterrente per sconfiggere il moderno “fight
club” (il club dei pugni in faccia). Certo è che anche altrove gruppi di
ragazzi, inclusivi di minorenni, si convocano
on-line e di fronte a spettatori incoscienti e colpevoli “animano” il
sabato sera a suon di cazzotti, ai quali solo la foga della rissa e della
rivalsa fa trovare a posteriori una motivazione. (Il peggio
del peggio: è dell’altro ieri la notizia che in un asilo di Isernia due
maestre incitavano i bambini a litigare tra loro). Ricordo
alcune sequenze del film “Fight club” e ricordo le
capriole del critico-intellettuale di turno per giustificare la violenza dei
colpi: ai giovani non abbiamo saputo fare proposte, metter loro davanti
validi modelli di comportamento; i
giovani sono demotivati; i giovani hanno mille regioni per pensare alla vita
in negativo ... Così, quando non riversano energie in atti criminosi,
scaricano aggressività in battaglie costruite ma certo non prive di violenza
vera. Forza,
allora, sulle orme di Brad Pitt, e dei moderni profeti, per darsele di santa
ragione, duramente, senza regole, a sangue, sopra e sotto la cintola, nella
speranza –bruciato il furore- di intravedere qualche orizzonte che meriti di
essere abbordato per dare movimento a una vita tutta da buttare. A quanti
ricercano pensieri positivi (auspice Jovanotti) proponiamo due riflessioni. La prima è suggerita dalla cronaca delle
tantissime e diverse attività di volontariato alle quali migliaia e migliaia
di gruppi di persone danno quotidianamente vita anche davanti ai nostri occhi distratti.
Gruppi capaci di trasformare in gesti solidali le deviazioni del branco;
gruppi che estraggono dall’ombra l’uomo ignoto, qualunque esso sia; che
rinunciano alla logica dell’interesse economico personale; che sono capaci di trasformare la tristezza e il
peso delle situazioni da soccorrere in forza da reimpiegare per la soluzione
delle situazioni medesime; che scelgono la strada dell’intervento immediato e
del grido di denuncia. L’altra riflessione, suggeritami dalle
vicende di un viaggio, mi è oggi riproposta dalla prossimità della giornata
(27 gennaio) che ci invita a “ fare memoria” –cioè approfondimento,
meditazione, impegno e non semplice racconto o ricordo fugace- della
persecuzione degli ebrei da parte della Germania hitleriana. Persecuzione
favorita anche dall’Italia attraverso l’applicazione delle leggi che hanno
certificato la presenza anche nostra nel delirio razzista. Delirio del quale
è simbolo e testimonianza il diario scritto, durante i due anni di
segregazione in una soffitta di Amsterdam,
da Anna Frank, ebrea poco più che bambina (13 anni), nel quale si possono leggere
frasi come queste: “ … Ti ringrazio, mio Dio, per tutto ciò che è
buono e caro e bello, sono piena di gioia. Allora penso: buona è la sicurezza del nostro rifugio, è
la mia salute, è la mia stessa esistenza; caro è Peter … bello è il mondo, la
natura, la bellezza e tutto ciò che la forma …”. |
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BUON ANNO 2019 di
GP. M. – 05 gennaio 2019 |
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Le parole che
la sera dello scorso 31 dicembre il Presidente della Repubblica ha rivolto a
tutti gli italiani e ai cinque milioni di immigrati che vivono e operano nel
nostro Paese, vanno ben oltre l’augurio
di “Buon anno” . Ci hanno
proposto alla riflessione tanti temi, quali quelli della convivenza civile
inteso come premessa della sicurezza e quindi della pace; della centralità
del Parlamento; del primato esistenziale del lavoro; della scelta del nostro
futuro nell’Europa; della condanna della prepotenza mafiosa, del settarismo,
della discriminazione, del teppismo; del valore della solidarietà
accogliente. Proprio su
questo argomento mi è parso di cogliere toni familiari e partecipi che, pur
consapevoli che per produrre effetti i buoni sentimenti debbono essere
espressione di un’intera comunità di vita, non hanno impedito al Presidente
di chiamare per nome singole iniziative e persone. La signora
Anna, per esempio, che per rompere la sua solitudine nella notte di Natale,
ha cercato e trovato la compagnia dei Carabinieri, oppure i ragazzi e gli
adulti del Centro di cura per l’autismo di Verona dei quali ha reso visibile
i il dono di un dipinto. E il prologo
a questi gesti di sensibilità il
Presidente Mattarella l’aveva compiuto due giorni prima, conferendo 33
onorificenze al merito della Repubblica “per
atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà, nel soccorso, per
l’attività in favore dell’inclusione sociale, nella cooperazione
internazionale, nella tutela dei minori, nella promozione della cultura e
della legalità”. Di queste
persone comuni, che forse anche noi
abbiamo inconsapevolmente incontrato, bisognerebbe descrivere i gesti,
ma forse sono proprio loro a volerne tacere i particolari, riservandoli agli
occhi di Chi ha la capacità di coglierne appieno il valore. A queste
persone che il Presidente della Repubblica ha reso protagoniste per un
giorno, mi sembra adattarsi la presentazione che ho trovato su una raccolta
di iniziative di volontariato silenziosamente presenti nella nostra città: “Provate a guardare Roma con attenzione. Superato
lo stupore per le cose, scoprirete la gente; quella delle generazioni
antiche: dissacratrice e pigra, fatalista e accattivante; soprattutto
generosa. Tra quella gente, nelle piazze, hanno il loro
caldo rifugio gli incredibili “squinternati” con i quali vorrei avere il
coraggio di condividere il nome”. |
DIO, IL POVERO DI BETLEMME di GP. M. – 22 dicembre 2018 |
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Chi può
parlare del povero se non il poeta? Soltanto il
poeta, nei suoi momenti di grazia nuda e semplice, riesce a vedere da quale
parte scende la verità e in che modo si arricchisce la terra. Soltanto il
poeta – e sia pure il poeta disperato e abbandonato dei nostri tempi – è in
grado a trasmetterci quel senso di vita, quella misura più alta che la figura
del povero rappresenta. Non ci sono
infatti altri modi, soprattutto non esiste altra possibilità ugualmente
libera e pura di avvicinarci a uno dei misteri più profondi della nostra
esistenza. Né conta la
raccomandazione di Cristo di riconoscersi nel povero, in chi batte alla
nostra porta; noi siamo così sordi, così perfidamente convinti del volto
comune della realtà che riusciamo a mettere in dubbio la verità , negando al
povero quell’accoglienza, quel piccolo riconoscimento che pure ci salverebbe. Oggi di questo lungo e pesante cammino e
nell’indistinto, nell’inutile e nel
male soltanto i poeti riescono a correggere in qualche momento l’offesa e in
tale correzione la grazia è proprio quella che deriva dall’incontro col
povero. La piccola
antologia che si pubblica oggi vuol testimoniare un’altra cosa e, cioè, come
al di là delle scuole, delle preferenze e delle educazioni particolari i
poeti hanno un piccolo registro di nozioni comuni, un quadro di verità
eterne: Dio, il povero. Vedete come si
batte sempre sullo stesso tasto e ad ogni modo come l’immagine del povero è
resa altrettanto e forse ancor più sensibile di quella di Dio. Fuori di ogni
retorica, di qualsiasi speculazione o compiacimento, il povero che ci viene
offerto nasce proprio dalla prima invocazione dell’uomo e appare anche come
il primo elemento della nostra salvezza. Noi non
riusciamo – il più delle volte – a capire il senso immediato del “beati i
poveri”: e questo è il segno, la misura della nostra caduta. Ringraziamo
per questo i poeti del nostro tempo di averci insegnato almeno la memoria di
questo insopportabile riscatto, di averci ricordato che senza l’aiuto del
povero la via stessa della salvezza ci sarà negata. Carlo Bo Tratto dalla prefazione di “Poesie sui poveri” –
La Locusta, Vicenza Natale 2000. |
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UNA GRAN BELLA STORIA di G. Paolo Manganozzi – 25 novembre 2018 |
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Ho avuto
l’occasione di ascoltare su Facebook un intervento
di Milena Gabanelli
-già conduttrice su RAI 3 del programma REPORT- e ho subito pensato di
farvene conoscere il contenuto. Ho sempre apprezzato le denunce taglienti di
questa brava e coraggiosa giornalista
sui mali oscuri che screditano
l’Italia, ma stavolta a colpirmi è stato il racconto pacato e ironicamente
sorridente di una storia che apre uno spazio alla speranza. Milena Gabanelli dice così: E’ una gran bella storia. Parliamo di una delle aziende redditizie della Romagna:
si chiama FAAC, fabbrica cancelli automatici ed è di proprietà della Curia
vescovile di Bologna. La storia è questa. Nel
2012 il proprietario muore e lascia tutto all’Arcidiocesi. Il Cardinal Caffarra
che fa? Decide di costituire un trast formato da tre professionisti: gli avvocati Andrea
Moschetti, Bruno Gattai e Giuseppe Berti,
quest’ultimo manager di Luxottica; sono loro che debbono gestire l’azienda e
girare parte degli utili alla Curia.
In mezzo ci sono due anni di lotta con i parenti che non ne vogliono
sapere, ma il Cardinal Caffarra non molla e alla
fine liquida sia il socio di minoranza che i parenti. Nel 2014 l’azienda ha
1000 dipendenti e 284 milioni di fatturato. Nel 2015 arriva l’arcivescovo
Matteo Zuppi che conferma gli amministratori e da le linee di gestione per
l’azienda alla quale debbono restare gli utili per fare sviluppo e ricerca.
Intanto a tutti i dipendenti fa una polizza assicurativa, a quelli in Italia
concede tre settimane di campo estivo gratuito per i figli. Oggi l’azienda controlla 42 nuove società in giro
per il mondo, negli ultimi tre anni fa registrare 43 brevetti innovativi, i
dipendenti sono saliti a 2500 e nel 2017 ha chiuso con 428 milioni di
fatturato, con un utile netto di 42 milioni; dal 2014 circa 5 milioni l’anno
vengono girati alla Curia. Che ci fa l’Arcivescovo Zuppi? Un milione e mezzo
lo da alla Caritas per aiutare famiglie disagiate –circa 16000 persone in due
anni- a pagare utenze, affitti, spese sanitarie; un milione l’anno va a
progetti definiti con il comune –borse di lavoro, tirocini, finanziamenti di
start up-; un milione è ripartito fra sostegno a famiglie con figli disabili
da 6 a 19 anni, dopo-scuola dei paesi di montagna, progetti contro la
dispersione scolastica, aiuto allo studio –dai libri universitari al
trasporto extra urbano- ai ragazzi con famiglie dal reddito molto basso: ne
hanno beneficiato 2045 studenti; il resto della somma viene destinato da una
commissione ad hoc a progetti meritevoli. Le erogazioni avvengono dopo una verifica della
Curia su progetti rendicontati fino all’ultimo euro. Dopo questa gestione il risultato è che l’azienda
cresce, non de-localizza le professionalità, è attenta al welfare dei
dipendenti, fa utili e un po’ li lascia al bisogno del territorio. Modello
FAAC: verrebbe quasi da dire alla Curia di Bologna “regaliamolo all’Italia”. *** (Le nostre
scuse alla Signora Gabanelli per qualche
imprecisione dovuta soltanto alla difficoltà di trascrizione “artigianale” da
Facebook). |
NON AVRETE IL MIO ODIO di
GP. M. – 18 novembre 2018 |
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Giusto tre
anni fa (13 novembre 2015) un commando di matrice islamista, appartenente
all’ISIS, terrorizzò la città di Parigi con un attentato che colpì una serie
di luoghi pubblici, in ora serale di affollata presenza. Il bersaglio più
clamoroso, per numero di vittime (novanta) e choc emotivo, fu il teatro Bataclan,
dove venne uccisa anche la Signora Leiris, moglie
di Antoine e madre di Melvil. Nei giorni
del dolore, Antoine indirizzò ai terroristi questa lettera, ripresa dai
giornali di tutto il mondo: Venerdi sera avete rubato la vita di una persona
eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non
avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Se
questo Dio per il quale ciecamente
uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie
sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi.
Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i
miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la
sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e
giorni di attesa. Era bella come quando è uscita venerdi
sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa.
Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma
sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci
ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo
più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi,
devo andare da Melvil che si risveglia dal suo
pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo
insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo petit garçon vi farà
l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai il
suo odio |
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. . . ATTENTI AL
NEGRO di G. Paolo Manganozzi – 28 ottobre 2018 |
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Shanthi Rigodanza, italiana di
origini indiane, è salita su un treno diretto a Trieste e si è seduta sul
proprio posto prenotato; una signora
-non uso volutamente l’iniziale maiuscola che normalmente adotto per i
pronomi- non ne ha accettato la vicinanza ed è andata a sedersi altrove dicendo
di non voler stare accanto a una negra. Gli odiosi
episodi di intolleranza si ripetono sotto diverse forme, anche perché trovano
il “conforto” e l’incentivo di una politica e di un costume praticati da
singole persone, vertici di Stati, organismi diversi, anche di stampa.
Sorvoliamo sulla pratica vigliacca che viene adottata sui social media. Martedì
scorso ho letto questa notizia di cronaca e provato dolore sembrandomi di
vivere un ritorno al passato, di vedere offeso e cancellato un cammino per i diritti
civili che sessantatre anni fa venne gridato da Rosa Parks
che a Montgomery si rifiutò, lei giovane nera, di cedere il proprio posto a
un uomo bianco al quale una legge assurda dell’Alabama assegnava un cromatico
diritto di precedenza. Giovedì sera, invece, ho provato la gioia di un
grande conforto, regalatami dalle parole di un uomo illuminato: casualmente
mi sono imbattuto nelle immagini televisive di Papa Francesco che,
interloquendo con un gruppo misto di giovani e di anziani, ha usato parole di disarmante immediatezza e semplicità per
descrivere il significato e gli effetti benefici dell’incontro e
dell’integrazione. Ha parlato,
infatti, di “identità” di ogni persona legata non a una razza o a un colore
né ai dati di un documento anagrafico, ma dovuta alle radici nascoste
dell’unico albero della vita al quale appartiene ogni uomo. Ho pensato
allora che disconoscere quelle radici comuni è usare violenza; violenza sotto
mille forme: si chiamino esse leggi e
atti conseguenti di emarginazione, ma anche, più semplicemente, parole
–slogan compresi- e iniziative che tolgono piano piano
la sabbia da sotto i piedi, erodono le possibilità di sostentamento, di
cultura, di partecipazione, di speranza e attuano più ampi disegni di
esclusione. |
ANNA DEI MIRACOLI di G. Paolo Manganozzi – 13 ottobre 2018 |
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Nel nostro
quartiere –particolarmente nella zona di Largo Boccea-
non è raro incontrare gruppi di giovani che discutono, commentano, si
scambiano messaggi di tristezza e di allegria attraverso la rapidità dei
gesti delle loro mani: tutto in un silenzio costretto che li isola da ogni
suono, da ogni rumore. Sono giovani
colpiti da sordità, e quindi anche da mutismo, che come tante altre persone
(in Italia superano attualmente le 70.000 unità) attendono la definitiva
approvazione di una legge che elimini le maggiori barriere limitative dei
loro diritti.(Il disegno, già approvato dal Senato, attende il via definitivo
ella Camera dei deputati). Più
drammatica è la situazione delle persone cieche-sorde-mute:
la comunicazione con loro
–praticamente preclusa è quella tra
loro- è infatti possibile solo attraverso il miracolo quotidiano che le
famiglie, i volontari, l’”Associazione del filo d’oro” affidano al misterioso
ticchettio delle loro dita sul palmo della mano di chi è costretto a vivere
come nel silenzio e nell’isolamento di un acquario. (Ricordate il film o il
dramma teatrale “Anna dei miracoli”?). Al prodigio
costante del dono delle mani vorrei oggi dedicare con voi questi pensieri: Mani che si stringono in atteggiamento di
saluto, di cuore aperto, di casa aperta; per un ultimo contatto prima
dell’addio o per accogliere un ritorno; per condividere, per invitare alla
pace, come nell’antico gesto di togliersi l’elmo di fronte al nemico
sfidandolo a fare altrettanto e quindi a rinunciare alla possibilità di
colpire. Mani giunte per pregare, Dio e gli uomini. Mani protese, come nel sacrificio antico,
sull’ara o sull’altare del tempio o su quello del monte dolorosamente scalato
da Abramo; oppure, come oggi, protese sul pane e sul vino. Mani alzate in segno di resa o per
invocare, nella speranza di allontanare il male o la paura. ricordando il
gesto biblico capace di fermare, insieme al corso del sole, il castigo della
guerra. Mani orribili, minacciose in modi
diversi, su ogni Abele di ogni luogo e di ogni tempo, soprattutto se bambino. Mani di chi è senza braccia e senza mani
e deve inventare momento per momento come dare forma alle proprie azioni. Mani che lavorano. Mani che generano l’arte. Mani inchiodate. Mani che danno voce al silenzio del mimo e
che imprimono espressività e forza a qualsiasi discorso. Mani che parlano attraverso colloqui ciechi-sordi-muti, resi possibili soltanto da un miracolo
d’amore. |
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Parrocchia San Filippo Neri alla Pineta
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